“LUPARE ROSA” IL NUOVO LIBRO DI DON MARCELLO COZZI
LE DONNE E LA MAFIA CALABRESE RACCONTATE DA TRE PROFONDI CONOSCITORI
“Lupare Rosa” è il titolo del libro di don Marcello Cozzi, noto attivista antimafia e autorevole esponente dell’associazione Libera. Racconta di “storie di amore, sangue e onore” e vuole aprire l’osservazione verso la cultura mafiosa che coinvolge le donne. Lo ha presentato venerdì a Potenza. Un’occasione per discutere di temi legati alla criminalità calabrese insieme a esperti che vivono direttamente quanto Don Marcello racconta nel suo libro. La storia di 5 donne di “ndrangheta e no” fatte sparire per motivi definibili primordiali se non addirittura non allocabili nella sfera umana. Moderati dalla presidente del circolo culturale “Gocce D’autore” Eva Bonitatibus, hanno partecipato: la Magistrato consulente della commissione parlamentare antimafia, Marisa Manzini, e il giornalista scrittore della Gazzetta Del Sud, Arcangelo Badolati, che coi suoi precisi racconti raccontati appassionatamente, sulla filiera di alcune “potenti” famiglie criminali dell’entroterra calabrese ha introdotto la discussione. Ha posto l’attenzione sulla sottomissione delle donne, a partire dalle figlie dei boss, ragazzine costrette a sposare figli di altri boss per legare le famiglie in un disegno criminale. La numerosa platea, si è vista mettere di fronte una realtà per molti nota, che se raccontata da chi la vive prende un altro sapore. Tante le storie raccontate nelle due ore; descritte con particolari, esaminando il ruolo delle donne di ndrangheta. Da quelle inizialmente decise a collaborare con la giustizia, finite poi per suicidarsi, forse indotte al suicidio, con l’acido muriatico, a quelle che gridano vendetta ai propri ancora piccoli figli e nipoti, di far vedere “un fiume di sangue scorrere davanti la porta di casa” Un sistema soprattutto culturale, che pare si stia lievemente attenuando. Lo ha detto anche la dottoressa Manzini, raccontando di donne che hanno chiesto l’intervento dello stato per tutelare i loro figli, ma ritornando indietro proprio all’atto della firma del verbale; per tutelare i figli. Presagendo il loro triste destino se portati via dalle famiglie dei boss. E purtroppo nella cultura mafiosa chi fa quel passo deve poi sparire. Ha colpito in particolar modo una delle storie raccontate da don Marcello. Di una normale ragazza fiorentina innamoratasi di un collega universitario calabrese. Solo quando è andata in Calabria ha scoperto che fosse figlio di un boss. Ha fatto di tutto per portarlo via da quell’ambiente, mentendo ai suoi genitori che l’aspettavano. Purtroppo è sparita nel nulla. Dopo molti anni il padre ha appreso da un giornale che un pentito aveva dichiarato che era stata fatta a pezzi. Ai tre relatori è stato chiesto se vi siano collegamenti con la Basilica o infiltrazioni. Per Badolati la zona Ionica è infiltrata. E porta l’esempio di collegamenti fra un boss calabrese e un noto boss potentino, in merito alla gestione delle slot machine in Basilicata. Alla dottoressa Manzini, durante la sua attività di magistrato a Vibo Valenzia, non sono mai capitati collegamenti fra la mafia calabrese e la malavita lucana. Per don Marcello nel Vulture Melfese ci sono famiglie con molte somiglianze con quelle dei boss calabresi. E le donne artiste hanno presentate le loro opere a corredo della manifestazione.